Devika | Intervista a Devika sul canto
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Intervista a Devika sul canto

di Giulia Calligari de Il Corriere della Sera

1 – Raccontaci il tuo incontro con il canto devozionale, se è avvenuto ad Ananda, e cosa ha aperto e continua ad aprire in te.

Il mio incontro con il canto devozionale si può dire sia avvenuto ad ananda. In passato avevo sentito ovviamente canti spirituali, ma solo nel mondo cattolico, a cui io non appartenevo. L’effetto di questi canti su di me era stato respingente, religione e dogmatismo non sono mai stati il mio campo. Arrivata ad Ananda non mi aspettavo di trascorrere molto tempo a cantare durante un corso di formazione yoga. Piuttosto mi aspettavo di studiare anantomia e sudare tanto! Invece il canto è stato una parte importante delle lezioni. Molti dei canti ad Ananda sono eseguiti in lingua italiana e si intona con molta leggerezza la parola Dio, che fino a quel momento avevo pensato essere estranea al mondo dello yoga!
Interiormente questo ha scatenato in me moti di ribellione totale. Mi sembrava di trovarmi in un ritiro spirituale di qualche movimento cattolico! Ho ricevuto delle spiegazioni in proposito. Yogananda utilizzava in America canti in lingua inglese in modo da poter trasmettere il messaggio dei mantra in una società molto ortodossa e religiosa. Mi è stato spiegato che la parola Dio simboleggia semplicemente la dimensione di una coscienza assoluta, collettiva, eterna, da cui tutto ciò che è manifesto promana. Nonostante questa spiegazione continuavo a non sentirmi a mio agio. Mentre mi sforzavo di cantare, potevo solo notare che la voce non voleva uscire e la maggior parte delle melodie mi pareva andassero ben oltre la mia limitata estensione vocale, facendomi sentire stonata, come ero convinta di essere, irrimediabilmente. Ho passato un vita a pensare di essere stonata! Ma l’ultimo giorno di quella settimana di ritiro, mentre cantavo un canto tra i più di simil cattolici, qualcosa che era sopito dentro di me si è smosso, qualcosa di bello e anche qualcosa di brutto. Ho preso atto di avere dentro una parte assai oscura, schematica, mentale e solo mentale, regolatrice, controllante, e da qualche altra parte timidamente si sollevava una parte luminosa, libera, splendente, ignota e bellissima: bella come “io ” non sono. Quella parte ha sciolto in lacrime un primo strato della dura crosta del mostro, ha fatto pace con la vita, ed ha spalmato un unguento miracoloso sull’antica ferita del rifiuto, dell’abbandono, della solitudine. In quel momento, quando non potevo contenere le lacrime silenziose, ho capito che avevo un Ego e che avevo un’Anima. Ci sono voluti anni per conquistare il coraggio di portare il canto nella mia quotidianità, il coraggio che si deve tirare fuori per scegliere di essere felici. Non c’è ancora stata una volta negli ultimi 6 anni, in cui cantare alla vita, non mi abbia regalato un pezzetto di consapevolezza, non mi abbia mostrato un angolo in ombra di me stessa.

2- Puoi darmi anche un spiegazione più tecnica sul valore del canto (anche i canti cosmici del Maestro) e del canto dei mantra.

Solo dopo essere stata cambiata da queste esperienze, ho cercato di approfondire lo studio teorico per comprendere ciò che accade, ma non credo che sia veramente la strada giusta, avere un approccio mentale…
Esiste un principio fisico che si chiama risonanza, diversi scienziati (posso citare) hanno studiato l’effetto della risonanza sia tra campi magnetici sia tra onde sonore e anche tra le due tipologie di vibrazione, perché cantare significa produrre proprio una vibrazione. Due diapason nella stessa stanza per esempio si influenzano tra loro. Se uno è fermo e l’altro è fatto vibrare, anche il primo inizierà a vibrare, anche se non è stato toccato. Questo effetto coinvolge anche il nostro cervello. Esso è infatti in grado di produrre un campo elettromagnetico, che non è certo un suono, ma viene influenzato dal suono, cambiando la sua frequenza. La frequenza del cervello implica una modifica dello stato di coscienza: sonno, veglia, buonumore, creatività, intuitività.
Cantando determinate melodie o frequenze incidiamo sul comportamento del cervello. Chiunque può facilmente comprendere e sperimentare come quando si canta una canzone malinconica si alimenti quello stato psicologico e così via…
Senza avere questo bagaglio di conoscenze scientifiche, gli antichi rishi, rinuncianti che si ritirano in assoluta contemplazione, in India, scoprirono un insieme di vibrazioni interiori che hanno tradotto in suoni, dando vita al Devangari, il sanscrito, la lingua del divino, cioè la lingua del sé interiore e allo stesso tempo del cosmo. Per questo motivo, cantare melodie che grandi santi o rishi hanno colto da questi stati di coscienza, e cantare le sillabe sanscrite, i mantra. Ha un effetto sulla coscienza. Così ci si può trovare a cantare un mantra su Shiva e scoprirci diversi al termine. Il grande Maestro Spirituale Paramhansa Yogananda aveva composto quelli che sono noti come canti cosmici, che sono stati intuiti, proprio come Einstain con la teoria della relatività.
Immaginiamoci come se Yogananda si fosse sintonizzato su una frequenza molto particolare e avesse ascoltato e riportato ciò che sentiva nelle sfere più alte della coscienza. Egli suggeriva di cantare per conquistare la conoscenza del Sè. Cantare, diceva, è metà della battaglia. Ed è proprio questa la portata e la potenza del cantare le sue melodie.
Cantare con la giusta guida può essere un’esperienza trasformante. Ma come ogni tecnica ci vuole costanza, dedizione e concentrazione e soprattutto la giusta conoscenza.
Oggi si pensa che tutto sia semplice e alla portata di tutti, cantare senz’atro lo è, ma esperire la vera trasformazione che può derivarne è sicuramente un dono.
Ho trovato nel canto dei mantra il più splendido nutrimento per il mio cuore, e non lo dico retoricamente. Ho scoperto che cantando certe vibrazioni e certe sillabe, che in sanscrito sono simbolicamente nomi del divino, posso vivere un profondo ed estatico senso di connessione. Quando si cantano mantra, in sanscrito, non serve nemmeno conoscere il significato delle parole, perché è la vibrazione che è capace di portare un messaggio, senza filtri da parte della nostra mente. Tuttavia il contenuto dei mantra cantati nei kirtan, è pressoché una elencazione di nomi di differenti aspetti della coscienza assoluta e dei suoi appellativi. Così cantare Shiva (che per gli indù è la divinità della distruzione nella loro trinità) ed i suoi appellativi, evoca la coscienza della trasformazione, Ganesha, il dio elefante, è la capacità di superare i limiti e gli ostacoli e via dicendo.

3 – Puoi dirmi se il canto dei mantra ha anche un valore proprio yogico nel senso di salute e benessere.

Il canto dei mantra devozionali, sia la vera e propria recitazione dei veda (testi antichissimi contenenti la summa di tutta la saggezza orientale), sia la recitazione ripetitiva dei mantra (japa), sono parti integranti della pratica dello yoga, come insegnato nello Yoga Upanishad e come tramandato da tutti i Maestri. I mantra servono per operare in uno stato slegato dall’attività della mente razionale e hanno la funzione di accordare lo strumento essere umano con la sua stessa perfezione e purezza interiore. per questo come esistono posture yoga (asana) o tecniche di respirazione (pranayama), in grado di curare disturbi o di donare certe capacità, allo stesso modo fa la recitazione dei mantra.
In molte tradizioni come Ananda Yoga, Satyiananda o Iyengar o Ashtanga, si inizia la pratica prima di tutto con la recitazione di un mantra. Separare la tecnica del mantra da qualsiasi altra porzione della scienza dello yoga sarebbe innaturale e snaturerebbe totalmente lo scopo della pratica e ne inficerebbe la capacità di portare un vero beneficio!
Non sappiamo ancora in che modo la mente è in grado di influenzare il corpo dal punto di vista scientifico, nella vita quotidiano possiamo solo prendere atto del fatto che ciò accade. Questa antica scienza spiega come specifiche vibrazioni a cui sintonizzarsi sia in grado di portare tutto l’essere ad uno stato di equilibrio ed armonia.

4 – In India si canta consapevolmemnte, in Occidente abbiamo perso questo senso rituale, cosa ci perdiamo?

Ci perdiamo una parte di noi stessi, che non potremo mai conoscere se non chiudiamo gli occhi e ci apriamo a qualcosa che sovrasta la limitatezza delle nostre esperienze impermanenti. Se il senso della nostra esistenza va al di là di ciò che può essere compreso con i sensi, allora per comprendere il senso della vita, si dovrà affinare un nuovo senso, che forse possiamo banalmente chiamare il cuore. E il cuore non comunica né si nutre con le parole ed i concetti, esso vive di un’altra sostanza e su altri livello parla. Questa dimensione di comprensione non mentale è vissuta quando la mente è portata alla stasi, e la verità è realizzata interiormente. In tale dimensione potremo scoprire di aver trovato il vero amore, il vero Amato, che ci parla e ci ama attraverso tutte le cose e gli esseri che sono sulla terra. Questa è una dimensione ben esplorata da millenni in oriente, la dimensione a cui si accede senz’altro semplicemente cantando con devozione e dedizione e nutrendo il sincero desiderio di aprirsi alla vita con fiducia.